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La finanza si mangia il mondo

La finanza si mangia il mondo

Vitor Gaspar, responsabile per la politica fiscale del Fondo Monetario Internazionale, ha dichiarato che “entro quello che è il limite del nostro orizzonte di proiezione – il 2028 – ci aspettiamo che il debito pubblico mondiale arrivi a corrispondere a quasi il 100% del prodotto interno lordo, tornando ai livelli record stabiliti nell’anno della pandemia”.

Secondo l’agenzia Fitch Rating i disavanzi del debito nazionale hanno raggiunto livelli record: dal 2020 9 stati sono stati coinvolti in 14 eventi di sospensione nel servizio del debito (default) mentre fra il 2000 e il 2019 questi eventi erano stati 19 in 13 stati.

Secondo l’UNCTAD (la conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo ) il numero degli stati che spendono di più per il servizio del debito che per la salute è cresciuto dal triennio 2012-2014 al triennio 2019-2021 da 9 a 21 per quanto riguarda l’istruzione e da 34 a 62 per quanto riguarda la sanità .

Sempre l’UNCTAD prevede che la crescita globale di quest’anno sia del 2,1%, ben al di sotto di quanto stimato dal FMI. “Per i paesi in via di sviluppo, i danni derivanti da shock imprevisti, in particolare là dove l’indebitamento è già fonte di sofferenza, saranno pesanti e persistenti”, sostiene nel documento “Tendenze e prospettive globali”, testo di aggiornamento del Rapporto su commercio e sviluppo redatto dalla Conferenza.

La velocità di crescita del costo del debito è molto più elevata del tasso di crescita dell’economia mondiale. La banca centrale europea ad esempio ha aumentato il tasso di riferimento da 0,50% nel luglio 2022 a 3,75% nel maggio 2023. Si tratta di 325 punti base ma in percentuale la crescita è molto più elevata: prendendo come base lo 0,50% del luglio 2022 il tasso attuale è aumentato del 650%. Per quanto riguarda le banche degli altri paesi imperialisti la situazione è analoga: in pratica attraverso l’aumento del costo del debito gli stati più sviluppati stanno operando una redistribuzione della ricchezza mondiale a proprio favore sottraendola agli abitanti dei paesi sottosviluppati. Non solo, se il costo del debito cresce più rapidamente della crescita dell’economia, questo finisce per assorbire risorse necessarie ad altri settori.

La spiegazione che viene data di questo fenomeno rovescia le cause con gli effetti: non è un caso. Gli organismi economici internazionali sono controllati dai governi degli stati imperialisti e gli economisti che dettano le regole del loro funzionamento sanno bene chi sono i loro veri datori di lavoro. D’altra parte, i governi degli stati a basso reddito sono al loro posto grazie all’appoggio, anche finanziario, di questo o quel gruppo di stati imperialisti; quindi per rimborsare i finanziamenti ricevuti devono ricorrere ad un inasprimento di quelle misure di austerità che hanno già provocato l’allargamento del divario delle condizioni di vita tra gli abitanti dei paesi sottosviluppati e quelli dei paesi imperialisti.

Il rapporto “Situazione e prospettive dell’economia mondiale”, redatto dal Dipartimento delle Nazioni Unite per gli affari economici e sociali (UN DESA) in collaborazione con l’UNCTAD, è estremamente negativo. Le politiche di austerità portate avanti dalle banche centrali, ispirate dal Fondo Monetario Internazionale e sostenute dai governi dei paesi imperialisti con pesanti tagli ai servizi sociali, all’assistenza e in generale al reddito dei ceti popolari, aggravano le disuguaglianze, aumentano le sofferenze e renderanno irraggiungibili gli obiettivi di sviluppo sostenibile, definiti nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Secondo tale rapporto, i governi dovrebbero rafforzare il supporto fiscale per proteggere i gruppi sociali vulnerabili e aumentare gli investimenti nell’istruzione e nella sanità, per rafforzare la coesione sociale e “costruire capitale umano (…) per il futuro”.

Si tratta di misure contraddittorie. Se questi provvedimenti fossero efficaci, i governi perderebbero l’appoggio della finanza internazionale e delle classi privilegiate: senza l’appoggio della finanza internazionale, gli stati cesserebbero di funzionare, come dimostra il dibattito sul superamento del tetto del debito in corso al Congresso USA; senza l’appoggio delle classi privilegiate i governi perderebbero la loro base sociale. D’altra parte, ogni mossa dei governi ha un costo. Questo costo può essere coperto da un inasprimento fiscale a carico delle classi privilegiate o con un aumento dell’indebitamento. L’aumento dell’indebitamento porta con sé l’aumento dei tassi d’interesse e, se ancora questi non vengono coperti da un inasprimento fiscale a carico dei ceti più ricchi, vengono pagati dalla collettività con quel taglio ai servizi sociali che si voleva evitare.

Insomma, la sopravvivenza dei governi è incompatibile con il mantenimento delle condizioni di vita del proletariato e dei ceti popolari; il fardello del debito è incompatibile con il miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti dei paesi sottosviluppati. La produzione di beni e servizi non è orientata al soddisfacimento dei bisogni individuali e collettivi, ma al raggiungimento del profitto del singolo capitalista. Il profitto conseguito dal singolo capitalista grazie allo sfruttamento dei suoi dipendenti viene poi diviso con gli altri ceti parassitari, l’aristocrazia finanziaria, i proprietari immobiliari e fondiari, il governo e le pubbliche istituzioni, la chiesa ecc.. La finanza e il governo sostengono la produzione industriale capitalistica nella misura in cui questa riesce ad estrarre dalla propria classe operaia un plusvalore crescente; quando questo non avviene, si chiudono i rubinetti del credito e ci si affida alla forza pubblica, riducendo la questione sociale ad una questione di ordine pubblico. Il capitalista industriale, alla faccia dello status e del ruolo sociale dell’imprenditore, è solo un esattore per conto degli altri settori delle classi privilegiate, che vivono del profitto realizzato all’interno del processo di produzione.

Ricordiamo in ogni caso che la causa prima della crescita del disavanzo statale, del debito pubblico e dell’inflazione è la crescita delle risorse finanziarie destinate alla guerra. L’imperialismo angloamericano sta puntando rapidamente a risolvere con le armi la contesa con la Cina, questo ad esempio è quello che denunciano le realtà anarchiche dell’Indo-pacifico, e questo non può non avere ripercussioni sugli stati alleati.

A maggior ragione, quindi, i governi sono il problema, non la soluzione.

La “crescita sostenibile”, la “riduzione delle disuguaglianze”, la “lotta alla fame” sostenute dai governi sono specchietti per le allodole. Non c’è progresso sociale senza l’azione diretta delle classi sfruttate, al di fuori e contro tutti i governi.

Avis Everhard

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